venerdì 26 dicembre 2014

Svegliarsi gatto



Svegliarsi un pomeriggio gatto di casa
stirando zampe e mascelle
nella bolla del divano
dare un’occhiata languida e velata
al primo umano nei dintorni
e certo della cura
ricongiungere le zampe al naso
tornando all’abbandono

Così vorrei svegliarmi a volte
e restare qualche giorno lontana
dal conflitto tra virtù mancate
da ogni perdita e paura
da ogni orrore

da quel fagotto che ogni tanto
si aggancia sul respiro

Solo pochi giorni

O anche poche ore





sabato 20 dicembre 2014

Gesti



Schiaccio sempre i gusci
vuoti delle uova
prima di darli all’umido

Lo  faceva mia madre
Una storia di spiriti maligni residenti
per dare respiro alla sua razionalità

Ma oggi mentre stringevo
il pugno sbriciolando
ho pensato a tutti i gesti di tutti

a quei gesti di scena intimi

tratti del disegno

a dove
finiranno dimenticati
o se
da qualche parte ci sia un libro
che ci guarda
e li raccoglie


giovedì 18 dicembre 2014

Una recensione - Luca Caddeo su Sololibri

La recensione che Luca Caddeo ha voluto donarmi e che ringrazio.
La potete trovate, in originale, sul sito SoloLibri.net.



Mie cornovaglie
"Muri chiari e salti bui
delle mie cornovaglie
dove il mare digrigna di vento alla roccia
e trapassa salmastro
il respiro verticale agli altipiani
L’erba piegata paga
leggera
il duro privilegio
di una vita nel soffio"
Estrarre il senso dai papaveri che hanno il cuore nella nerezza è un paradosso da cui forse potrebbe originarsi Poesia. Ed è il miracolo del verso che Amara – alias Sonia Tacchinardi – ci dona col suo primo, bellissimo libro intitolato, non a caso, Il cuore nero dei papaveri (Edizioni Opposto, 2014). La silloge di Amara è un viaggio di fiume che conduce a pelaghi di originarie nostalgie dove le sfumature piegano a nascondigli in cui la delicatezza rivela nella grazia la verità – inumana e tragica, eppure, nel canto, propriamente, immensamente umana. Chi vorrà inoltrarsi nella catartica odissea della lettura, incontrerà sulla soglia del verso Amara che si distrae per contemplare il sole consapevole di avere il “difetto del volo” – il “privilegio del soffio” – che non costringe i pensieri in un tailleur essendo essi pronti a cadute in arrivi che sono partenze. Nella peregrinazione, in cui il cuore rimbalza tra rapide e cieli, si fanno innanzi dubbiosi amanti che imprimono “tra la carne e il fiato il marchio della vita” passeggiando scalzi fra i ricci mentre inondano estatici le felci di rosso. Così, iniziati dai canti alla Luna, impariamo a “danzare noi stessi” calpestandoci d’amore nell’annientamento del nero per rinnovellarci nel circolare albeggiare di una naturalità materna e spesso matrigna. In questo manuale del senso i carmi parlano di femmine, di madri e di figlie – e di redivive Lilith dialoganti con l’intimo occulto di fiori che sanno di dover seccare ma tacciono “ai sandali e alle camicie leggere la caducità del quadro”. Tra le righe il sangue si fa “pozzanghere in scadenza”, un grumo di fango rossastro che nessuno riconoscerà “come plasma vissuto caldo nella neve”. E, mentre la “metà di cui siamo” fugge via con la morte della Madre e crolla la “cera sul pianto asciutto”, ci eleviamo altrove “dove non taglia la selce” per poi tornare col trapasso del Padre a rammemorare il tempo in cui “le dita erano agili”, “perfetti gli occhi per l’armonia e il colore”. Allorché si appressa nella quotidiana aspettazione il momento in cui l’odore si mescola ai fiori nel verde uguale, speriamo in un “suono diverso a dirci che non c’è assoluto nel dissolversi” e constatiamo che basterebbe forse “la certezza di un vibrare distinto dalle voci vive” a farci abbandonare la paura del nulla che ogni giorno ci impone “un appello a garantirne l’assenza" per "confidare che non sarà oggi”.
In questo inchiostro notturno cadiamo “senza appigli né vele”, senza paura, mirando l’asfalto slavato e “misurando il tempo” che ancora ci separa dallo schianto. In un intarsio di vibrazioni levigate da una tecnica ispirata non c’è spazio per la vanità ed è chiara la distinzione tra l’artificio e la poesia poiché scrivere “è un colore di battesimo proprio solamente a chi lo imprime” e, se “non c’è nessun ruscello che scorra tra le righe”, “d’erba secca” è la pagina. La poesia si fa lezione di umiltà allorquando l’artista sorride all’idea che “ogni pensiero debba generare un verso”. Un sorriso salutare questo – e genuino – che non ha nulla da dimostrare perché conosce il pianto e sa farlo fluire insieme alla gioia in parole che scavano davvero sollevando dal peso della “stupidità intermittente”. Così, leggera come i poeti che guardano al di là, lasciamo Amara a sorseggiare un caffè “canticchiando parole d’altri” mentre impreca “prosaica alle cose”.
© Riproduzione riservata

mercoledì 3 dicembre 2014

La maschera e la farfalla (immagine)



Nella colata d’oro che li sbarra
brillano gli occhi ciechi
a un sole che non smaglia

Ma la farfalla frulla e si affanna 
sulla cornea glassata
la supplica di affacciarsi alla luce
come un’amante mai rassegnata
come il bussare di una coscienza
perduta:

l’avviso dell’ora sottile
dove strappare delizie al niente
che già incalza