giovedì 20 dicembre 2012

il bello



Puntare al seme delle cose
|al tuo|
è il primo passo per svettarsi addosso

il piede guasto stretto nelle stringhe
le  allenta con metodo
per sfilarsi e salire su un tacco
non alto alla cifra
ma inatteso qualche passo prima

Il bello del seme è che ha stagioni
tante
e da lì riparte più nudo, ogni volta


martedì 18 dicembre 2012

da queste parti



Qui mai niente si conclude
tranne le vite che ci accompagnavano

ogni agire è un impianto volante
come il filo dell’antenna sulla porta e lo stucco
a metà sui vetri

i 'domani-lo-faccio’ sono piccole bugie colpose
dove i trattini frammezzano eventi necessari
bisogni assolti su bracci diversi degli incroci

e le parole restano polvere che attende la mano
sciami di intraprese in abbandono

A corollario un giorno in più per rifinire
o forse in meno
quale giusto epitaffio all’indolenza

ma siamo storni di passo
e un’àncora al compiuto non distrae
la migrazione delle ossa vuote

sabato 15 dicembre 2012

cinque centesimi di parole

 
 
ho trovato cinque centesimi di parole d’amore
-verderame da lavatrice-
basteranno a pochi accenni
e a uno sguardo forse (che non costa)
 
confusi tra monete spese al tropico
posso farli sparire senza nota
 
oppure dimmi se -nello sfilaccio delle tasche
dovrei cercare ancora
 
 

domenica 9 dicembre 2012

Lazo lasco nel dehor




spiegano l’anello imperfetto
tutte le parole a perdere
che sforzano ancora comprensione

seguono le movenze della corda
stoppandosi sul nodo

a tirare e stringere si avrebbe poi
una forma nuova
ma quella dell’era armonica
non la so deporre

quindi tengo -di punta-  il ritmo sulle assi
e guardo verso il mare
cedendo a questo tempo complice
che sottobraccio mi  accompagna al sole


giovedì 6 dicembre 2012

senza chiedere

Potrei  indagare se nel garbuglio
qualcosa di me appartenga al fiore
e se tu possa somigliare al colibrì
ma  fra breve e distante
inquieterebbe un sì
che non sarà motore
.

Gusto un tocco di punta
e diluisco in stagni
il pensiero inutile

martedì 4 dicembre 2012

Sette venti



Un trofeo di sette venti
passati in fiducia sui timpani

E presi

Tutti

nella cassa del petto
Costretti a risuonare
come di voce umana

Quasi un esperimento
su quanto possa l’aria
lavorata da altri polmoni
infettare il metro cubo che basta
al sopravvivere stretto

Infettarlo fino a sfaldarlo

E farlo aperto



domenica 2 dicembre 2012

-and-are


Custodiscimi i gerundi
che di infiniti trema il dito
e preferisco questi manipoli di lettere
come salti sulle ore
a quelle lunghe distese dove non vedi se a un punto
qualche ghigliottina le troncherà

Meglio così, meglio godere ogni rimbalzo
nel rumore per nulla di un sacchetto
che scoppi e rigonfi al nuovo appoggio

meglio godere, si
a piccoli dribbling di respiro



giovedì 22 novembre 2012

di Ferdinando Giordano



Tutto quanto è, d'improvviso esce. O lascia,
si acquatta nella terra, balza nella sua eternità.
Questo dinamismo può apparire involontario
in realtà è il fermo immagine del buio che ci provoca.
E' la prova che il corpo non si trattiene
nella scena. E' la scena che si proietta
in altri occhi.

Siamo vivi per un balzo non fatto,
acrobati concentrati nel silenzio

per antonomasia.



 

D'ottobre



Non ricordo la prima volta
in cui ho visto la pioggia conoscendone il nome

immagino fu nell’uno di cinquantaquattro
forse verso la fine
quando ottobre tornava in burrasche
e alla domanda
-quanti?-
sollevavo dal pugno l’indice
comprendendo appena che si preparava
una festa

Così oggi

perché sono qui
a contare senza dita che bastino
ma ancora posso ninnarmi nella pioggia
che canta dal soffitto







mercoledì 12 settembre 2012

a S. e ai suoi (per ora) 12 anni di guerra



è un filo di voce appena
che insiste la vita
nella bocca impastata dal male

ascoltarti imprime allo sterno
l’immobilità del letto che sembra
non  saper più proporre strategie

ma non ti consegni

mordi ancora i tuoi piani di fuga
lisciando bene le carte

forse è così
che si misurano i miracoli



lunedì 9 luglio 2012

Per non lasciarti andare

..il mio controcanto tratto dalla corale poetica 'Nunc dimittis' proposta e ricomposta da Ferdinando Giordano ..


1.

C’è un’altra parte, fuori dal gerundio,
che fa del nome un portare,
un proporre sulle mani  aperte
per lasciar pizzicare con due dita: una ciliegia,
un’arachide, un respiro più fondo e sincopato
o il riflesso di uno sguardo severo
che esaspera il riso destinato a sminuirlo.

Ma nulla è davvero sapore se non raggiunge il luogo
dove riporre per contemplarne le ombre
e saperne le vie nella vena senza distrarsi alla luce.

Poi tutto torna al battito, come in una nuova fame
e lì dove siamo venuti, non siamo più.

2.

riconoscerai il segno sulla spalla
dove ancora ascolti il racconto dalla cicatrice
di un bacio

se ne può leggere la trama sotto le palpebre
e nella smorfia alzando il bicchiere

ancora un giro e sarà leggenda taciuta
su altre labbra

3.

andare forza le spalle
sulla sinistra la punta di un ramo sussurra:
resta

lo fa col pudore della pretesa senza doni
come la foglia si fa rossa la bocca
senza pensare alla terra
la usa a nutrire la giusta distanza dal cielo
ma sa della radice

andrai dunque?

poso l’ ultima tentazione a rubarti il sapore
lì dove lasciano spazio i capelli
prima che il colletto si alzi per zittire il grecale


4.

 
anche se pare deciso il  frangente
a tendere di schiena la gomena
non ha dita per sciogliere il nodo dalla bitta
e nel sale mancano occhi limpidi
a capire dove sia forte la leva

non chiedere quindi alla darsena
di avere mani complici in derive
perché la sua missione è l’abbraccio
la carezza dei panni asciutti
la vertigine calda della sera

5.

La distanza è un lavoro paziente
una processione di perle scorticate
-nessun oriente è intramontabile-
e dentro, il filo, si tende e si allenta
I capillari asciutti chiedono plasma a risanare
dopo la mia scure
dovrei dirti, vai, dunque
eppure rimane condizione disattesa
da un sospetto d’amore che ancora appanna il vetro

6.

Guardo alla parola esausta
come al corpo dopo i singulti,
quando il dolore si presenta di sciabola
e a suo ordine esegue supino ogni contrazione,
poi, quando la lama ritira,  il telaio  schianta
come a un vuoto sfinito.

È allora, che la carezza cresce uno sguardo nuovo
dove la carne si ricongiunge in lacrime lente






venerdì 6 luglio 2012

nessuna lacrima fatua




Di quanto è scritto e di quanto è da scrivere
ne parlo col cuore nero dei papaveri -stelle sulla mia fronte-
tra i fili d'erba arida che sanno di seccare
quando nemmeno la luna ha rugiada per una speranza.

Ma non sento pianti sommessi
né lacrime fatue a guastare l'estate degli altri
solo rosso a spiccare sul verde
tacendo alle camicie leggere e ai sandali
la caducità del quadro.